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Una giornata è l’evocativo titolo di una novella che Luigi Pirandello scrisse al crepuscolo della sua vita, pubblicata postuma nel 1937, e ad essa si è liberamente ispirato il regista Marco Maria Correnti, con il suo cortometraggio dal titolo omonimo, insieme a Giuseppe Gigliorosso che ha scritto la sceneggiatura, e che è stato prodotto da Piano Focale, la scuola di cinema indipendente diretta da quest’ultimo.

I due cineasti palermitani, rielaborando l’opera di Pirandello, ambientano ai giorni nostri la storia di un personaggio senza nome, che improvvisamente si ritrova catapultato in una dimensione surreale, e nello spazio di una sola giornata, ripercorre le stagioni della sua vita, mentre disorientato si ritrova in un luogo che non conosce, circondato da personaggi a lui ignoti, che lo riconoscono e lo salutano riguardosi, finchè non giunge in una lussuosa dimora dove lo conduce un auto guidata da un misterioso autista, e lì incontra una donna da lui vista poco prima in una foto che scorge nel suo portafoglio, probabilmente sua moglie, ma il tempo scorre troppo velocemente e lui si ritrova già vecchio e stanco, all’alba del nuovo giorno.

Questo lo script alla base dell’opera dello scrittore agrigentino, con la quale si sono confrontati Gigliorosso in fase di scrittura e Correnti alla regia, i quali efficacemente sono riusciti a trasmetterci, nei quindici minuti di girato, l’effetto straniante che il protagonista vive nell’arco di una giornata, durante la quale prende atto di quanto breve e sfuggente sia la vita, attraverso l’esperienza immersiva in cui si trova catapultato, cogliendo così a pieno lo spirito della novella di Pirandello.

E ciò fin dall’incipit della storia, in cui un ragazzino giunge in un luogo indefinito, a bordo di un pullman dal quale scende assonnato, condividendo, immediatamente dopo, lo stesso senso di spaesamento con un altro lui che ne prende il posto, a cui presta il volto Dario Barcia, più grande di qualche anno, che improvvisamente lo spettatore si ritrova sullo schermo, con un artifizio tecnico memore della migliore tradizione di un cinema fantastico.

Ha poco tempo, però, il secondo dei protagonisti in scena, che in una località di cui ci sfuggono le coordinate spaziali e temporali, giunge in un cortile affollato di gente, dove lo stesso ha la sensazione di non essere estraneo, e lì deve lasciare anche lui il proscenio ad ancora un altro di se, interpretato da Sergio Vespertino, il quale caratterizza, con misura ed efficacia, lo stesso personaggio, ormai giunto nel mezzo del cammino della sua vita.

Altri momenti contraddistinguono l’incedere spaesato del soggetto senza nome, che dapprima assapora le gioie della tavola, sedendo in un ristorante dove probabilmente è di casa, ma che lui non ricorda, come non riconosce il cameriere (Marco Feo) che gli serve quello che forse è uno dei suoi piatti preferiti, che tuttavia non può pagare con la banconota, ormai fuori conio, che custodisce nel portafogli, come ci mostra il regista in una scena che fa da ponte fra il passato incerto ed il presente sconosciuto del protagonista; poi lo stesso apprezzerà pure i piaceri della carne, quando si ritroverà in quella abitazione, che forse ha condiviso per anni con colei che giacerà con lui nel letto, interpretata da una intensa Liliana Marciante, in quel focolare domestico, che però sembra che non gli sia familiare.

Infine, quella giornata particolare volge a termine, quando lui improvvisamente, attraverso un abile movimento di macchina, si vede allo specchio, scoprendo, e facendo scoprire anche agli spettatori, l’ultima versione dello stesso protagonista, che si ritrova ormai canuto e stanco, attorniato da persone che se ne prendono affettuosamente cura, probabilmente suoi discendenti che a lui sopravviveranno e ne perpetreranno il ricordo, forse l’unica consapevolezza che, prima dei titoli di coda, finalmente alberga nello sguardo di quell’anziano signore, efficacemente caratterizzato da Salvo Nereo Salerno.

Allora, ed è subito sera, pure per il protagonista del bel cortometraggio diretto da Correnti, come scriveva Salvatore Quasimodo, un altro premio Nobel siciliano, che con l’omonima lirica ha inteso tramandarci lo stesso senso di ineluttabilità della nostra esistenza, che troppo presto giunge al termine, senza che ce ne rendiamo conto.

Carmelo Franco